Salento. Il coraggio di difendere la bellezza. Itinerario 2

Riprendiamo il nostro viaggio alla scoperta del Salento (potete trovare le tappe precedenti qui), realizzato nell’ambito del tour educational in collaborazione con Caroli Hotels e con Pugliapromozione, ritornando al punto di partenza, a colei che ci ha portate qui: Renata Fonte.

È infatti a lei che il Terminal – Caroli Hotels di Marina di Leuca ha deciso di dedicare la sua camera d’autrice, aderendo a un’iniziativa promossa dalla nostra associazione Toponomastica femminile. La camera 232 è, infatti, diventata un fecondo terreno di memoria e conoscenza, in continuo arricchimento, e permette a chi ha il privilegio di alloggiarvi di immergersi nella storia di Renata Fonte, la cui presenza si respira in ogni angolo della stanza, tramite fotografie, brani e testimonianze di ogni genere.

Caroli Hotels – Terminal, Leuca. Stanza dedicata a Renata Fonte.
Foto di Emma de Pasquale
Camera Renata Fonte.
Foto di Danila Baldo

Ma chi era Renata Fonte e perché è così importante mantenere vivo il ricordo della sua lotta?

Nata a Nardò (LE) il 10 marzo del 1951, Fonte inizia la sua carriera lavorativa facendo l’insegnante alla scuola elementare del suo paese natale, mentre studia lingue e letterature straniere all’Università di Lecce. Già dai primissimi anni Ottanta comincia a coltivare l’impegno politico per la sua città, aderendo al Partito repubblicano italiano (Pri) e divenendone Segretaria comunale.

Militante dell’Unione donne italiane (Udi), le sue lotte sono animate da un profondissimo senso di giustizia ed equità: di fronte alle intimidazioni non riesce proprio a tenere la bocca chiusa. Così, si lascia travolgere dalla battaglia in difesa del meraviglioso territorio di Porto Selvaggio, di cui dirige il Comitato per la Tutela. Sa bene contro chi si sta mettendo: a speculare con palazzi e cemento su quel paradiso naturale è un nemico enorme, tentacolare, difficile da identificare con visi e corpi umani, in quanto già allora capillarmente diffuso in ogni organo dello Stato.

Eppure Renata Fonte va avanti, e vince: grazie alla grande risonanza mediatica della battaglia, la Regione Puglia emana una Legge di tutela per Porto Selvaggio, a oggi ancora vigente. Candidatasi alle elezioni, diventa la prima Consigliera e Assessora del Pri a Nardò, ma si trova subito a dover affrontare la dura realtà che la Legge di tutela non ha fermato gli illeciti, che continuano imperterriti a deturpare il territorio di Porto Selvaggio.

Non piegatasi alle minacce di morte ricevute, Renata viene assassinata a soli 33 anni, la notte tra il 31 marzo e il 1 aprile del 1984. Passerà alla storia come il primo omicidio di mafia commesso nel Salento.

In virtù di ciò, l’itinerario Donne sul filo di un racconto, che ha l’intento di riscoprire le terre salentine attraverso le donne che le hanno attraversate, non poteva non prevedere una tappa a Porto Selvaggio: luogo dalla bellezza travolgente, sospesa nel tempo.

Porto Selvaggio.
Foto di Danila Baldo

Infatti, scopriamo grazie alla nostra guida d’eccellenza Filomena Ranaldo, direttrice del Museo della Preistoria di Nardò, che quest’area di costa traccia una linea temporale che collega l’oggi al Cretacico: infatti, è proprio qui che, circa 126mila anni fa, si attestano le prime tracce della presenza umana in Salento.

Grotta di Capelvenere.
Foto di Emma de Pasquale

Il Parco naturale regionale conserva, infatti, delle testimonianze uniche al mondo dei vari stadi della preistoria salentina, di cui forse l’esempio più noto è incarnato dalla Grotta di Capelvenere, in cui gli scavi condotti a partire dagli anni Settanta hanno rinvenuto tracce della presenza dell’homo neanderthalensis di circa 50.000 anni fa, passando per una fase in balia di animali e vegetazione, per poi tornare in mano ai sapiens solo a ridosso dell’anno zero.

La dott.a Filomena Ranaldo ci spiega il valore storico del Parco Naturale di Porto Selvaggio

Lo splendido paesaggio che fa da sfondo al video qui sopra, si può osservare dal Belvedere dedicato a Renata Fonte, che offre uno sguardo carico di emozioni sul Parco e ricorda la violenza subita dall’assessora con una simbolica panchina rossa, su cui sono dipinte le sue parole: «E sono ancora qui che cerco di scrivere una storia, la mia storia. Qualcuno ha fatto tacere la mia voce… ma c’è ancora in sottofondo un motivo di poche note che è il tema musicale di tutto quello che ho dentro».

Panchina rossa dedicata a Renata Fonte, Porto Selvaggio.
Foto di Danila Baldo

Trovandoci accanto a Nardò, vale la pena continuare a seguire le tracce di colei che ci ha portate qui. Basterà recarci all’interno dell’imponente Castello, che dal 1934 ospita alcuni uffici comunali, tra cui la stanza del Sindaco, la Sala Giunta e l’Aula Consiliare, dedicata proprio a Renata Fonte.

Aula consiliare “Renata Fonte”, Nardò.
Foto di Emma de Pasquale
Posto occupato contro la violenza di genere, Aula consiliare di Nardò. Foto di Emma de Pasquale

Con l’occasione suggeriamo una visita anche la Museo della Preistoria di Nardò, diretto proprio dalla dott.a Ranaldo, che conserva dei reperti unici al mondo, tra cui punte di lancia, teschi e persino dei denti decidui di homo sapiens e un molare deciduo di homo neanderthalensis.

A venti minuti da Nardò, ci aspetta la Basilica di Santa Caterina d’Alessandria, che tocca il nostro itinerario perché il suo complesso pittorico – unico al mondo, secondo solo alla Basilica di San Francesco d’Assisi – ha tanto da raccontarci sulla sua committente: Maria D’Enghen.

Esterno della Basilica di Santa Caterina d’Alessandria, Galatina.
Foto di Danila Baldo
Affresco rappresentante Maria D’Enghen, Basilica di Santa Croce d’Alessandria, Galatina.
Foto di Emma de Pasquale

Nata nel 1367, divenne contessa di Lecce a partire dal 1384, ereditando il titolo dal fratello morto senza eredi. Sposò Raimondo Orsini del Balzo e dal 1399 fu anche principessa consorte di Taranto. Morto il marito nel 1406, Maria si occupò del completamento della Basilica di Santa Caterina portando avanti un progetto politico, più che religioso. Difatti, la Basilica si poneva come sfida alla città di Napoli, ergendosi a simbolo della potenza e della grandezza di Galatina, ma anche come ponte con il papato di Urbano VI, che aveva appoggiato il proposito di latinizzazione di un territorio così profondamente legato al culto greco-bizantino. Anche gli affreschi, dietro le raffigurazioni della storia biblica, celano in realtà riferimenti continui alla storia di quegli anni, in cui è facile riconoscere figure politiche dell’epoca, tra cui la stessa Maria D’Enghen.

Sempre nel 1406, la principessa fu a capo della rivolta dei baroni del Sud contro il re di Napoli Ladislao II d’Angiò-Durazzo, difendendo la roccaforte di Taranto con tale strategia da costringere il sovrano in un vicolo cieco. Per evitare la sconfitta, Ladislao escogitò una soluzione alternativa: proporre a Maria D’Enghen di sposarlo. Se il suo primo matrimonio con Raimondo era stato felice ma combinato, questa volta fu Maria a scegliere e, nonostante sapesse benissimo che non si trattasse di nozze d’amore, scelse strategicamente di accettare la proposta, per ottenere il titolo di regina consorte del Regno di Napoli. Effettivamente, la scelta sembrò vincente, in quanto dovette sopportare il marito solo per pochi anni, visto che Ladislao morì nel 1414: tuttavia, le cose non andarono esattamente come aveva sperato, perché, a differenza di Raimondo, il nuovo marito non le aveva permesso di intromettersi più di tanto nell’amministrazione politica di Napoli e, una volta scomparso, anche la figura di Maria fu fatta fuori dalle dinamiche familiari dei D’Angiò-Durazzo.
Nel 1420 tornò a Lecce dove riuscì a re-insinuarsi nelle politiche cittadine, amministrando i suoi feudi fino al 1446, anno in cui morì e fu sepolta nella Basilica di Santa Croce.

Corso Maria D’Enghen, Galatina.
Foto di Danila Baldo

Da Galatina sarebbe un peccato mortale non allungarsi fino a Gallipoli, gioiello del Salento frequentato soprattutto per le sue acque cristalline e la sua trascinante movida, che ha però tante altre storie da raccontare.

Passeggiando tra i vicoli del paese ci si imbatte infatti nella straordinaria Cattedrale, dedicata a Sant’Agata, patrona della città, martire la cui reliquia di una mammella è stato oggetto d’infinite dispute proprio tra le due località che abbiamo appena visitato: Galatina e Gallipoli. Al di là dell’atrocità del martirio – attestato storicamente – della corrispondente iconografia cristiana e delle tante parentesi che potremmo aprire al riguardo, è molto interessante scavare nelle leggende legate a questa mutilazione, che caricano il seno di Agata di una potenza simbolica impressionante che si respira in ogni angolo delle città di cui è patrona, tra cui per l’appunto Gallipoli, Galatina e Catania, sua città natale.

Tra l’altro, torna protagonista in questa storia l’ormai a noi noto Raimondo Orsini del Balzo, primo marito di Maria D’Enghen, che avrebbe sottratto alla Cattedrale di Gallipoli la reliquia di una mammella di Sant’Agata per custodirla proprio nella Basilica di Santa Caterina d’Alessandria di Galatina.

Lungomare di Gallipoli.
Foto di Danila Baldo

Eppure, anche a Gallipoli, è possibile andare alla ricerca di qualche baluardo di storia laica di protagonismo femminile: tra sante e madonne resiste Antonietta De Pace (1818-1883), mazziniana convinta che aderì alla lotta per l’unificazione nazionale e operò sotto lo pseudonimo di Emilia Sforza Loredano, divenendo un punto di riferimento per tutta la Puglia in rivolta. Tra le sue battaglie più importanti, condotte insieme ad altri nomi centrali per il Risorgimento italiano come Antonietta Poerio e Raffaella Settembrini, ricordiamo lo strenuo impegno per promuovere l’emancipazione femminile nell’Italia unita, riconoscendo l’istruzione come veicolo fondamentale d’indipendenza e libertà.

Giulio Pagliano, Ritratto di Antonietta de Pace, 1900-1909
Via Antonietta De Pace, Gallipoli.
Foto di Danila Baldo

«Abbiamo sconfitto e cacciato i Borbone, ora tocca annientare un nemico più subdolo e resistente che è presente in ognuno di voi. Dovete combattere una guerra dentro voi stessi, per vincere la quale è opportuno che vi dotiate di un’arma infallibile: l’istruzione. Non delegate mai ad altri, ciò che spetta a voi di fare».

Con Antonietta De Pace vi lasciamo e torniamo verso Leuca, con la promessa di rivederci prestissimo con la terza e ultima tappa del nostro itinerario Donne sul filo di un racconto.

In copertina: Porto Selvaggio. Foto di Emma de Pasquale.

***

Articolo di:

Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.

Emma de Pasquale

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Emma de Pasquale è nata a Roma nel 1997. Laureata magistrale in Italianistica, è attualmente giornalista pubblicista. Mangia il mondo con occhi curiosi e ama raccontare. Da sempre crede profondamente nel potere della narrazione di restituire fiato alle tante voci soffocate dalla storia.

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