Conosciamo da tempo Laura Coci e Roberto del Piano come autori di Vitamine vaganti, su argomenti che spaziano dalla storia alla musica e alla riflessione sull’attualità. Abbiamo poi avuto modo di ascoltare le loro voci su un ulteriore affascinante tema, diventato passione, studio e approfondimento culturale: la fantascienza, come si può leggere in Un’ambigua utopia.
Questo nuovo interesse, coltivato in modo sempre più attento e autorevole, ha permesso loro di entrare in contatto con diversi scrittori e scrittrici di narrativa fantascientifica, come a Stranimondi, Festival del libro fantastico a Milano, di cui possiamo leggere qui il racconto.
Poniamo alcune domande a Laura e Roberto, anche per arrivare a conoscere meglio il loro ultimo lavoro, la curatela del libro di Daniela Piegai Il mondo non è nostro.
In che modo e quando è nato in voi l’interesse per il genere fantascientifico?
Roberto: «Da bambino, a cinque anni (già leggevo), ho incontrato Giulio Verne; poi la passione per il fantastico si è sopita fino ai tredici anni, quando in un’edicola di Cesenatico sono stato folgorato dalla copertina di un romanzo di Urania: Crociera nell’infinito di Alfred E. Van Vogt. Investivo buona parte delle mie paghette in fantascienza, frequentando le bancarelle dell’usato per risparmiare. E questa passione ancora dura».
Laura: «Da bambina chiesi di ricevere in dono un libro di fantascienza: fu Stella a cinque mondi, un Omnibus Mondadori che comprendeva cinque romanzi, uno più bello dell’altro. La lettura successiva, Isaac Asimov, mi disamorò immediatamente. In età adulta ho letto Ray Bradbury e Philip Dick (sì, devo la conoscenza di questo grandissimo a Blade Runner, che vidi per la prima volta in lingua originale senza capire una parola, ma fui folgorata dalla potenza dell’ambientazione), ma nulla di più. Poi due anni fa, la svolta, proprio grazie a Vitamine vaganti: fu Maria Pia Ercolini a incoraggiarmi a proseguire nella ricerca e nell’approfondimento della fantascienza delle donne, dopo la recensione di La notte della svastica di Katharine Burdekin, libro straordinario incontrato per caso. Ma non si dice che gli amori tardivi sono i più duraturi?
Che cosa vi affascina di più nella narrazione fantastica?
Laura: «Il suo essere, per così dire, “così lontana, così vicina”: la letteratura d’immaginazione, la fantascienza in particolare, parla della contemporaneità, delle sue tensioni e contraddizioni, avverte su quali sono i rischi del presente, progetta scenari per il futuro. Per definizione, oltre a essere un genere femminile (!), la fantascienza è un genere fluido, aperto, disposto ad accogliere differenze e ibridazioni, senza pregiudizi. Per le donne, dunque, uno spazio di libertà e un’opportunità straordinarie. E poi, come ha detto Nicoletta Vallorani, «la fantascienza è la nuova dimensione del romanzo sociale».
Roberto: «All’inizio la libertà, il sogno, il viaggio in tutti gli universi possibili, e anche in quelli non possibili. In seguito, la paura per quello che potrebbe accadere: leggere la quadrilogia delle catastrofi di James Ballard, negli anni Sessanta, ha contribuito a formare la mia coscienza politica ed ecologica. Per mia parte, prediligo la creazione fantasiosa di mondi alle speculazioni scientifiche e tecnologiche. La fantascienza è l’immaginario possibile o anche qualsiasi cosa ogni persona pensa sia fantascienza».

Si può dire che in ambito scolastico la letteratura di immaginazione sia considerata un genere secondario e per lo più non presente nei manuali?
Roberto: «Due ricordi legati ai lontani anni del liceo. Il primo: scrissi un tema come fosse un racconto di fantascienza e venni punito con “non classificabile”. Il secondo: a un altro docente, invece, prestai un libro di racconti di Lovecraft; l’insegnante non solo mi ringraziò, ma menzionò l’autore nel suo poderoso saggio Dante europeo, a proposito dei seminatori di discordia».
Laura: «Purtroppo sì, il pregiudizio è duro a morire… E pensare che hanno scritto opere fantastiche o fantascientifiche grandi autori e autrici mainstream: basti per tutti il caso di Primo Levi, che tuttavia dovette pubblicare la sua prima raccolta di racconti di fantascienza (Storie naturali), nel 1966 per Einaudi, con lo pseudonimo di Damiano Malabaila. Nel presente, la grande scrittrice di origine giapponese Tawada Yokō è approdata alla cosiddetta “narratologia innaturale” perché questa offre possibilità di sviluppo della realtà più originali e articolate (e questo è un solo esempio tra tanti). L’invito è alle, ai docenti, affinché propongano a ragazzi e ragazze testi di letteratura di immaginazione di qualità: saranno ricompensati!»
Abbiamo letto negli articoli precedenti che ora è migliorata la presenza di autrici fantascientiste, ma sono sempre in minoranza più che in altri generi letterari, come mai, secondo voi?
Laura: «È solo una questione di tempo: per quanto la capostipite del genere sia una donna, Mary Shelley, la fantascienza è stata a lungo un prodotto di uomini per uomini. Non che non ci fossero autrici, ma si mimetizzavano sotto pseudonimi maschili, oppure scrivevano proprio come uomini per altri uomini (cosa non difficile per loro, dal momento che storicamente il mondo è stato narrato con voce maschile). Ora le cose sono molto migliorate, e grazie alla bravura e alla tenacia della nuova generazione di fantascientiste, in particolare italiane, potranno migliorare ancora».
Roberto: «Nel 1980 a Stresa, alla convention europea di fantascienza, le donne erano rarissime e guardate come aliene. Nel 2022 a Milano, a Stranimondi, una presenza femminile numerosa e qualificata è apparsa ormai imprescindibile. Quello che è necessario rimodulare è il cosiddetto “canone”, nel quale le donne sono ancora troppo poche. Ed è quello che sta facendo Laura.

Qual è stata l’occasione che vi ha portato a contribuire alla nuova pubblicazione di quello che viene definito in copertina “Un capolavoro dimenticato di una delle più grandi autrici italiane di fantascienza”?
Roberto: «Quando è stata progettata la serie Fantascienza, un genere (femminile) ho proposto a Laura di inserire tra le autrici Daniela Piegai. Da qui è nato un rapporto prima via chat, poi di persona, con questa straordinaria scrittrice, a lungo dimenticata. Lei ha avuto fiducia in noi e ci ha affidato la sua opera, alla quale, come curatore, lavoro con passione. La fortuna ha voluto che trovassimo un editore serio (Delos Digital, di cui è anima Silvio Sosio) e in grado di apprezzare Daniela. Questo volume è solo l’inizio».
Laura: «Per Daniela è stato amore al primo libro. Non posso non amarla: perché coniuga giustizia e bellezza, perché è autenticamente e sobriamente femminista, perché è un’artista straordinaria e versatile, che attraversa i generi con attitudine originale e non insegue le tendenze del mercato (e proprio per questo, forse, il mercato l’ha esclusa).
Per Piegai la fantascienza è uno spazio di libertà, in cui riequilibrare le ingiustizie del tempo presente e della società contemporanea nei confronti di diversi, deboli e marginali (donne, anziani, poveri, bambini, bambine), riparare ai torti, sognare – non solo, rendere possibile attraverso la scrittura – un ‘altro’ mondo. Con la silenziosa caparbietà tante volte incontrata nella storia delle donne, Daniela cammina “in direzione ostinata e contraria” verso un orizzonte di riscatto e dignità, per tutti, per tutte.
Il mondo non è nostro, in particolare, è stato pubblicato nel 1989 nella collana La Tartaruga blu (quattro soli titoli), ma dopo il fallimento della casa editrice è finito al macero, il che lo ha reso pressoché introvabile (o reperibile a prezzi proibitivi). Restituire tanta bellezza a chi ama la fantascienza, e la letteratura di qualità, è un atto di giustizia».
Per quali ragioni consigliereste la lettura di Il mondo non è nostro di Daniela Piegai?
Roberto: «Perché è un mix prodigioso di levitas e gravitas, che emoziona e porta ad amare le donne e gli uomini protagonisti della vicenda».
Laura: «Perché è una storia bellissima, ben scritta, con un messaggio importante e salvifico».


In base all’esperienza che avete maturato in questi anni, che cosa consigliereste a giovani che intendessero cimentarsi con questo genere letterario?
Laura: «Leggere tanto e osare di più!
Personalmente, partirei dalle opere di Alice Sheldon, Judith Merril, Pat Cadigan; tra le italiane (naturalmente) Daniela Piegai, Francesca Cavallero ed Elena Di Fazio».
Roberto: «Affinare il proprio gusto e costruire il proprio percorso.
Io suggerisco la lettura di John Brunner, Fredric Brown, Clifford Simak; e poi qualche italiano: Nino Martino, Valerio Evangelisti, Davide Del Popolo Riolo.
Un grazie a Laura e Roberto per il tempo che ci hanno dedicato, per le suggestioni affascinanti che emergono dalle loro parole e per suggerirci letture capaci di farci cogliere prospettive di un futuro che sta a noi rendere degno dell’umano.
In copertina: Daniela Piegai (prima a sinistra), Dario Tonani (affermato autore di fantascienza), Mirella Aldani (moglie di Lino Aldani, indimenticato scrittore di immaginazione), Silvio Sosio (attuale editore di Daniela), fotografati da Ernesto Vegetti a Montepulciano nel 1987, in occasione di Italcon 13.
***
Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.