Cambiamo discorso. Le parole delle donne nella Resistenza

Aprile è il mese della rinascita, del ritorno del caldo sole primaverile, della sconfitta del freddo invernale, del germogliare degli alberi… e questo dato “naturale” delle nostre terre dal clima temperato si sposa alla data “storica” della rinascita della speranza dopo gli orrori della guerra, che ha portato alla sconfitta del nazifascismo, del rifiorire del senso di libertà che in Italia si celebra come Festa nazionale il 25 aprile di ogni anno. Così il ciclo di incontri Cambiamo discorso, dell’associazione Reti culturali, dedica il webinar di questo mese di aprile al ricordo di quella Resistenza che ha permesso l’uscita dalla barbarie, e lo fa con le parole delle donne anch’esse protagoniste della lotta partigiana, seppur dimenticate per troppi anni nel dopoguerra e sempre più ricordate negli ultimi decenni. Anna Paola Moretti, scrittrice e storica dell’Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino, giovedì 14 aprile presenterà alcune memorie di lotta partigiana femminile, rese attraverso il diario, che è stata la modalità del raccontare privilegiata dalle donne, a cui era precluso lo studio accademico:

Chiediamo ad Anna Paola Moretti di parlarci della sua esperienza di studiosa, dei suoi lavori e dei suoi progetti.

Qual è stato il percorso di studi che ti ha portata a essere quella che sei?
Da studente sono stata appassionata di storia, ho realizzato l’evidenza dell’esclusione delle donne dalla narrazione storica in seguito all’incontro col femminismo, dopo gli anni universitari e la laurea in filosofia; è iniziato allora per me un altro percorso. Gli anni ’80 e ’90 sono stati anni di fermento e di collegamento tra le storiche che lavoravano nelle Università e negli Istituti della Resistenza, con le tante realtà associative promosse dalle donne, come il Centro culturale Università delle donne “Virginia Woolf” di Roma, La Libreria delle donne di Milano, ed altri a Brescia, Siena, Napoli, Torino, nonché le tante riviste. È in questo ambito che ho continuato a coltivare le mia passione storica, mentre per lavoro mi occupavo di amministrazione scolastica.

Da dove nasce l’interesse per le tematiche che indagano il mondo femminile?
Il femminismo ha prodotto una rivoluzione culturale che può continuare ad affermarsi solo se alimentata dalla responsabilità di ciascuna. Riscoprire la storia delle donne risponde a una esigenza di radicamento e di una diversa narrazione della storia tutta, per un cambiamento materiale e simbolico

La condizione delle donne è stata oggetto soltanto di studi accademici o è diventata anche parte di un tuo impegno attivo nella società?
Il mio è un impegno attivo di trasformazione della società. Sono stata co-fondatrice della “Casa delle donne di Pesaro”, che nacque per impulso di molte provenienti dal collettivo femminista, dall’Udi, e di tante altre che volevano un luogo per incontrarsi, confrontarsi, elaborare e progettare in autonomia dai partiti; abbiamo praticato rapporti di valorizzazione e scoperta delle nostre potenzialità, scartando la posizione di vittime e l’omologazione a modelli maschili. La “Casa delle donne” è nata intorno a una biblioteca che raccoglie testi femminili e a un archivio delle attività svolte, per il desiderio di contrastare la dispersione e la dissipazione e per lasciare invece traccia e memoria di sé.

Ci parli delle tue tante pubblicazioni in ambito storico?
Più di dieci anni fa ho iniziato a collaborare con l’Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino (Iscop), con seminari sul tema della deportazione femminile, ricercando memorie di deportate, convinta della necessità di mantenere un circolo virtuoso tra memoria e storia. Alcuni incontri fortunati e relazioni di fiducia mi hanno permesso di accostare testimoni viventi, accogliere testimonianze inedite e ricostruire biografie dimenticate. Il primo incontro è stato con Irene Kriwcenko, una concittadina di origine ucraina, che in gioventù aveva vissuto la deportazione in Germania per lavoro coatto e ne parlava pubblicamente per la prima volta all’età di 84 anni; Maria Lasi raccontava, invece, dei traumi subiti da bambina mentre la seconda guerra mondiale infuriava sulle rive del Senio, rimasto linea del fronte per alcuni mesi. In seguito ho ricostruito la biografia di Leda Antinori, partigiana fanese diciottenne morta in seguito alle sevizie subite in prigionia, e quella di Magda Minciotti, partigiana quindicenne di Chiaravalle deportata per lavoro coatto nella fabbrica Siemens a Norimberga, che durante la prigionia aveva scritto un diario inedito. Ho anche ricostruito il contesto di una deportazione dal paese natale dei miei genitori nel Montefeltro, dopo aver letto le memorie in rima scritte da Antonio Buratta, uno dei deportati. Per valorizzare queste memorie ho scelto di accompagnarle con un percorso di contestualizzazione storica; la valorizzazione passa da un lavoro di cura, dal raccordo delle storie individuali alla vita collettiva. È stato necessario far ricorso a una pluralità di fonti (bibliografiche, archivistiche, fotografiche, interviste a testimoni, visite ai luoghi), tenute insieme come tessere di un mosaico. Per avvicinarmi all’esperienza umana delle protagoniste, ho fatto risuonare voci di altre donne che avevano vissute analoghe esperienze; in ragione del silenzio delle fonti sono ricorsa anche alle esplorazioni del possibile, cioè l’esame delle possibilità esistenti nel passato, come indicava Natalie Zemon Davis. Non ricerco solo la presenza femminile, ma la forza che alcune donne ci mostrano anche in situazioni difficili ed estreme.

Credi che il progresso nell’emancipazione e l’ingresso nella cittadinanza attiva delle donne sia stato costante, dalla conquista del diritto al voto nel 1946 a oggi, oppure vedi dei regressi in questo, nella nostra società odierna?

I diritti sono frutto di rapporti di forza e non sono mai garantiti! Non c’è per nulla un percorso lineare: il diritto di voto è stato accompagnato da una “normalizzazione” che ha tentato di ricacciare le donne che avevano partecipato alla Resistenza nei ruoli e confini domestici tradizionali. La difficoltà maschile ad accettare la libertà delle donne è purtroppo evidente nei femminicidi e nella violenza dei padri sterminatori; di arretramento nell’applicazione delle leggi parlano le avvocate dei centri antiviolenza; c’è un tentativo di neutralizzazione della differenza sessuale che investe anche il linguaggio, oltre che un attacco alla maternità.

Se tu volessi/potessi dare consigli ai/alle docenti di storia nella scuola attuale, che cosa diresti?
La memoria va accolta con cura e interrogata, in una relazione virtuosa con la storia. Le biografie possono diventare ponti di accesso al contesto generale degli avvenimenti; dalle biografie possiamo fare storia e far entrare nella storia anche i sentimenti umani.

Quali i tuoi progetti futuri?
Continuare nella ricerca di memorie e storie di partigiane, che tra l’altro a Fano alimentano il ciclo “Leda e le altre”, iniziato nel 2017 dopo la pubblicazione del libro su Leda Antinori; concludere un lavoro legato a passaggi di memoria nella mia storia familiare; dare corpo a un progetto ambizioso sulle poesie di donne deportate a Ravensbrück.

Ringraziamo Anna Paola Moretti del tempo che ci ha dedicato e delle prospettive di vita, studio e azione che emergono in modo esemplare dalle sue parole, e prepariamoci ad ascoltarla il prossimo giovedì 14 aprile alle ore 17.00, con la speranza nel cuore di non veder crescere i conflitti bellici attuali al punto da rivivere ciò che, almeno noi europei, pensavano sconfitto per sempre, forse con una presuntuosa e cieca illusione che ora stiamo scontando.

Questo il link per iscriversi all’incontro online e ricevere poi le indicazioni per l’accesso: https://csvmarche-it.zoom.us/webinar/register/WN_f34HaYEjSoOxEMXfcgd6sw.

Qui trovate le interviste dei mesi scorsi, alla storica della fotografia Simona Guerra e alle esperte di arte e musica Laura Baldelli e Paola Ciarlantini.

In copertina. Fronte del libro Considerate che avevo 15 anni (particolare).

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.

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