Editoriale. Di statue, di ingiustizie, di conti con la Storia

Carissime lettrici e carissimi lettori,
gli esami di maturità si sono avviati con tranquillità, rispettando distanziamento e accortezze, tra igienizzanti e mascherine. Le palestre hanno aperto e si può andare a nuotare in piscina, oltre che, naturalmente, al mare. A ruota si sono riattivati i parchi gioco e sono ricominciate le partite di calcio. La Coppa Italia ha dato le sue soddisfazioni, nonostante l’assenza del pubblico e dei canti di incoraggiamento dagli spalti. Seppure non si possa ancora ritornare a giocare a calcetto e a praticare gli sport cosiddetti di prossimità, possiamo volare realmente in Italia e fuori, nel mondo. Volare in aereo e con la valigia, non solo di sogni e di fantasie, per riempire davvero quello che mancava, se mancava, all’immaginazione, quando leggevamo, come abbiamo qui suggerito, le pagine di Xavier de Maistre, l’autore di quel Viaggio intorno alla mia stanza, datato 1794 e divenuto di un balzo per tutte e tutti noi estremamente contemporaneo. In questa lunga primavera di necessaria clausura i quarantadue capitoli di narrazione ci hanno aiutato non poco e accompagnato a compiere i 36 passi giornalieri intorno al mondo, rimanendo stabili tra il letto e la poltrona di casa nostra.
Riapre finalmente, ma a passo lento, la cultura. Riprendono gli spettacoli teatrali e i concerti, che ci auguriamo abbiano trovato, grazie a questo periodo così particolare, ulteriori e efficaci soluzioni non più tanto avveniristiche, da mettere in campo anche in tempi di non emergenza sanitaria. Sarà ricchezza acquisita non solo in senso culturale, ma anche economico, per l’altissimo numero di biglietti già venduti in questo modo, di cui fare tesoro per il futuro su come poter assistere a un concerto o a un qualsiasi altro evento simile potendo parteciparvi come se fossimo lì, con quella quarta dimensione che oggi potrebbe essere cara al teatro di Stanislavskij.
Insomma siamo entrati in piena Fase 3! Sempre attenti/e a non creare una seconda ondata. «Passeremo nella Storia», ha commentato giustamente una ragazza sorridente, appena maturata, al microfono di un telegiornale. In effetti questi ragazzi e ragazze nate/i all’inizio del secolo nuovo porteranno nella loro memoria non solo una scuola distanziata, l’isolamento e la mancanza di quell’amicizia corpo a corpo che deve contraddistinguere la loro età, ma anche il personalissimo ricordo, che si porteranno dietro per sempre, del passo essenziale della loro giovinezza che li e le congeda dalla scuola, iniziata da bambini/e, avviandoli/e alla vita. Ragazzi e ragazze che diventeranno uomini e donne e scriveranno le pagine della Storia mettendo insieme, come sempre, le loro singole storie comuni.
Hanno scritto la Storia dell’Europa dove sono nate, ma alla fine anche quella del mondo, le protagoniste di Calendaria, un’esperienza nata in seno a Toponomastica femminile per celebrare l’anno che verrà, che ci auguriamo sia scevro di tutti i problemi di questo che stiamo vivendo, allegoricamente obbediente alle sue non benigne proprietà bisestili. Calendaria verrà sostenuta da un crowdfunding a cui vi chiamiamo a partecipare anche con l’acquisto di una sola copia. Rinviamo al bell’articolo dedicato per le modalità di prenotazione. Calendaria sarà raccontata su questa rivista, a cominciare dal primo numero dell’anno nuovo, porterà il segno delle donne e anche la cifra della parola, la saussuriana parole, che si evolve e muta con l’evolversi del costume e che ha sempre accompagnato la femminilità. Saranno infatti ben tre le lingue che guideranno ed esprimeranno i racconti. Dopo il francese (parlato da tre paesi europei) e l’inglese (anche se ormai parlato nella comunità europea dalla sola Irlanda) si mostrerà la lingua nativa della protagonista, sia essa il greco, lo spagnolo, il finnico o lo svedese. Eppure a ben poche di queste sessanta donne sono stati dedicati un monumento, una statua da additare al passaggio per essere premessa di una storia da tramandare.
La storia di un uomo e della sua statua, eretta in un parco intitolato a suo nome, non lontano dalla Milano della moda e da Brera, è oggi ancora al centro di polemiche, sulla scia del giustissimo mare di proteste seguito all’uccisione xenofobica di Floyd negli States, due settimane fa. La statua di Montanelli, che al tempo della guerra in Eritrea aveva comprato una sposa-bambina come si fa con un oggetto e una schiava, non pentendosene tra l’altro mai, è stata imbrattata; una serie di firme ne chiede la rimozione insieme all’intitolazione del giardino alla bambina (aveva appena 11 anni) andata sposa al giornalista italiano.
«Non sono d’accordo né con l’atto di imbrattare, né con quello della rimozione della statua.» dice Maria Pia Ercolini, creatrice e presidente di Toponomastica femminile. «Le statue sono opere d’arte e non si distruggono proprio perché tali. Riguardo a questo è necessario distinguere poi l’opera dalla persona. Mi mettono paura cose del genere, mi riportano alla mente i roghi dei libri proibiti. Più che opporsi alla statua, più che imbrattarla bisogna ripensare al fascismo, al colonialismo da cui tutto questo è nato ed è stato voluto. Soprattutto bisogna ritornare a soffermarsi sull’orribile questione del madamato. Per questo vedrei e proporrei come più logico intitolare, invece, il parco dove c’è la statua di Montanelli alle Vittime del madamato, per rivendicare l’indicibile ingiustizia fatta a tante e non a una sola ragazzina. Poi chiarificherei le responsabilità di Montanelli con una targa da apporre alla statua.» A tal proposito un articolo ci riporta a quello splendido film sul fascismo, girato da Ettore Scola con due altrettanto meravigliosi attori, Loren e Mastroianni: «Io non credo che l’inquilino del sesto piano sia antifascista, semmai il fascismo è anti-inquilino del sesto piano
!» dice Gabriele in Una giornata particolare – annota Mila Spicola su Huffpost. «Una casalinga e un omosessuale come incarnazione di quel che fu il fascismo collettivo. Non la categoria storica. Ma il sistema valoriale e anti-valoriale dell’Italia della prima metà del Novecento che non scompare il 25 aprile, come un fiume carsico scorre e ogni tanto riappare… Direi che di fascismo e antifascismo tocca interrogarci. C’è che i conti con la Storia si fanno e non è solo un tema di fatti e di date, di morti e di guerre e di storicizzazione. Ma un tema di valori e anti-valori…La voragine non è su Montanelli o su una statua ma sul valore morale e civile della dignità, della libertà della persona umana in quanto tale, che si accompagna a tutto questo groviglio di conti da saldare con la cultura del predominio e della superiorità che il fascismo interpretò benissimo ma che resiste ancora oggi. Non si è estinta nel Novecento o il 25 aprile. Idee confuse in merito a gogò quando dovrebbero essere chiarissime. Se non lo capiamo tutti significa proprio questo, che ne abbiamo di conti da fare con noi stessi e con la Storia, eccome se ne abbiamo. Ecco perché ci spaventa.»
I conti con la storia ci collegano ad un articolo che leggerete in questa rivista e ci riportano in campo cinematografico alle scene del film di Florestano Mancini La lunga notte del ’43 (1960) tratto dal romanzo di Bassani. Anche in questo caso la recitazione è affidata a due grandi del cinema: un bravissimo Gabriele Ferzetti e un altrettanto bravo Gino Cervi. Il libro, il film e il nostro articolo richiamano l’Amnistia contro i crimini fascisti operata da Palmiro Togliatti, allora Guardasigilli, dal 22 giugno del 1943. «Doveva esserci una Norimberga italiana», suggerisce giustamente l’autrice. Invece molti dei colpevoli che si erano macchiati di crimini di ogni specie sono stati persino reintegrati nelle mansioni che avevano affidate in periodo fascista, giudici compresi. «
In Italia  – è scritto – la guerra civile ha separato con nettezza la parte del riscatto e la parte dei gesti perduti (secondo la memorabile definizione di Italo Calvino), ma la nettezza si appanna in pochissimi anni, dopo che, grazie alla guerra di Resistenza, i partiti democratici hanno scritto la Costituzione, ed evapora quando avviene la rottura dell’unità antifascista in conseguenza del nuovo ordine mondiale, che riconosce all’Unione Sovietica un’ampia sfera di controllo nell’Europa orientale, mentre l’Europa occidentale rimane sotto l’influenza degli alleati, quando alle elezioni del 18 aprile 1948 si registra la sconfitta del Fronte popolare e la vittoria della Democrazia cristiana… (Le vittime ndr) sono due volte vittime.»  conclude l’autrice dell’interessante articolo, ricordando i protagonisti del libro e del film. Per loro, per le vittime (ma anche per noi, che avremmo voluto e che vorremmo un’altra Italia), l’amnistia Togliatti non è una misura di clemenza, ma un’ingiustizia: riconoscere un crimine come tale (e non cancellarlo) è doveroso, non per odio o per vendetta, ma perché il passato non può guarire senza giustizia. «Per questa Italia – scrive David Bidussa – i conti non si pagano mai.»
Se alle donne non sono state mai, o quasi mai, dedicate statue o monumenti (ne conosciamo rari come quello intitolato a Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli a Acquapendente nel frusinate, anche in questo caso a sud d’Italia), le donne sono state, come ormai è risaputo, scoraggiate e poste in secondo piano nelle arti. Abbiamo letto, e continuiamo qui a leggerne una ulteriore puntata, delle straordinarie capacità, mai abbastanza apprezzate e conosciute, delle donne scultrici, le quali hanno forgiato le statue e i monumenti, a dispetto di chi non le vedeva capaci, con le loro stesse mani e la loro fantasia.  Tantomeno sono state messe in luce le donne compositrici, di cui leggeremo anche qui i nomi e le storie. L’autore, uno studioso che costantemente si interessa della presenza femminile nella Storia e nella vita sociale, ha creato, proprio riguardo alla musica, il Pentagramma rosa, una video-enciclopedia di storia della musica, tutta ed esclusivamente al femminile. Nei trentadue titoli dell’opera chi scrive ci porta a compiere un viaggio particolare e inaspettato che parte dalle arpiste egizie e dalle aulete greche per arrivare fino a noi. «Dopo aver attraversato il Medioevo, dove incontriamo le trovatrici provenzali – spiega Florindo Di Monaco – passando poi al ‘600 che vede la fioritura delle Sirene celesti, geniali suore che danno vita a un’intensa produzione sacra. Con il Settecento, il secolo dei lumi, inizia l’età d’oro dei soprani. A Venezia i primi conservatori di musica, nati come ricoveri di trovatelle, diventano una fucina di talenti di altissimo livello. Ma è dall’Ottocento in poi che le donne si affermano sempre di più sulla scena musicale in maniera indiscutibile: lo provano brillanti compositrici della statura di Fanny Mendelssohn e Clara Schumann, e le applaudite cantanti d’opera, regine del melodramma, per passare al XX secolo con le sperimentazioni dell’avanguardia…e via di seguito fino a dedicare tutta la seconda parte dell’opera alle concertiste che ci veicolano le più belle pagine della musica di tutti i tempi.»
Altre figure di donne bellissime per statura intellettuale e etica sono presentate in questo numero della rivista, da Elsa Morante (protagonista della puntata odierna de Le Mille) a Simona Mafai fino alla questione femminile discussa nella Tesi edita qui per la puntata di questo mese e proveniente, questa volta, dall’università di Torino.
Si parla anche di ambiente, di come ci stiamo comportando e di che cosa potrebbe averci insegnato una pandemia come quella che stiamo ancora vivendo. Conoscere i pericoli e i limiti nell’affrontare la diversità, nell’erigere muri senza abbandonarne la porosità, nel gestire la globalizzazione cercando di smussarne, quando non eliminarne, i lati più oscuri e pericolosi.
Ma dobbiamo concludere in bellezza, con la nostra affettuosa carrellata di auguri a Francesco Guccini di cui in questa puntata si analizzano le canzoni di amori, tanti, malinconici, spesso passati e a volte ripresi, come per ciascuna/o di noi in questo mondo. Buona lettura, dunque, a tutte e a tutti.

 

 

Editoriale di Giusi Sammartino

aFQ14hduLaureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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