Editoriale. L’ambigua regía del silenzio

Carissime lettrici e carissimi lettori,
abito a Roma: una città di tre milioni di abitanti, con un centro storico “allargato” che si prolunga dal nucleo centrale alle diramazioni del Colosseo e di san Pietro e una periferia di notevoli dimensioni. Abito a Roma e il rumore fa parte di me. Il rumore mi è amico e nemico. Comunque mi è, come dire, implicito, ormai intrinseco al mio essere.
Quello bello: delle urla (vivacità) dei bambini, dell’abbaiare dei cani (li amo e a me non danno fastidio), della musica suonata da un pianoforte di casa, di quella che pensavi scomparsa e che invece ogni tanto ritorna a farsi ascoltare, dell’annuncio dell’arrotino e ombrellaio, del suono delle campane (non le sento più da tanto!).
Poi quello brutto: dei motori delle automobili, degli autobus, dei motorini e delle moto di tutte le cilindrate, dei loro clacson, spesso ingiustificati, del rombo degli aerei, per fortuna meno presenti sul cielo del centro storico, delle voci pesanti, delle liti senza senso. Infine i rumori tristi, seppure salvifici: delle sirene delle ambulanze, delle gazzelle della polizia, dei carabinieri, della finanza, dei camion dei pompieri.
Roma prima dell’emergenza del Covid-19 era decisamente una città rumorosa, in bene e in male, come ogni metropoli, o megalopoli che la si voglia chiamare. Una città rumorosa con il più alto numero di abitanti, per cui precede Milano, Napoli e Torino, stando ai dati Istat del 2017.
Oggi la mia città è deserta, ma soprattutto silenziosa. Sembra che tutto sia fermo, rimasto immobile, come in quelle favole dove una fata decide di congelare un regno in attesa di un tempo più salvifico per la principessa stregata. Spero, chiaramente, che questo di Roma sia comunque un copione che si replica per tutta l’Italia, ma il silenzio mi porta a un sentimento binario: di meraviglia e stupore della pace ricevuta, ma anche di sbigottimento e straniamento di un luogo che non riesco a riconoscere. Leggo il nuovo posto dalle finestre o durante il poco tempo concesso per la passeggiata igienica con Milou, la mia piccola cagnolina. Non mi sembra di riconoscerne i tratti. L’aspetto e il suono mi appaiono estranei. Facciamo rumore, dettava la canzone che ha vinto l’ultimo festival di Sanremo: ora questo silenzio ci piace e ci auguriamo che possa mantenersi nel nostro mondo del poi, quello che verrà dopo questa burrasca, ma ci spaventa con la stessa forza che sembra obbedire a una legge della fisica, per cui a una forza (il chiasso della città a noi abituale) ne corrisponde un’altra “di uguale intensità e di senso contrario” con il turbamento di questo eccesso di pace e di silenzio.
Che cos’è il rumore? Nella scienza se ne occupa l’acustica
(dal greco κούειν, “udire”) ed è quella parte della fisica che studia il suono. A causarlo sono le onde (onde di pressione) che si propagano in un mezzo materiale (non solo aria dunque) e vengono ricevute da noi, comprese quelle che entrano nelle categorie cosiddette degli infrasuoni e ultrasuoni, che non sono percepibili dalle nostre orecchie (ma che sentono tanti dei nostri amici animali, quattro zampe compresi!) e che si comportano, da un punto di vista fisico, nello stesso modo. In fisica, me ne sono accorta, lo confesso, facendo questa piccola ricerca, il rumore (le sue onde di propagazione) viene selezionato anche con i colori: rosso, bianco, nero, grigio.
Il vocabolario diretto da Tullio De Mauro recita: fenomeno acustico percepito per lo più come sgradevole o indesiderato dovuto a vibrazioni irregolari e non armoniche. Lo definisce come secco sordo acuto. Inteso anche come vocio, chiasso. Fino a indicare il significato di una notizia non vera,
non ufficiale al limite della diceria, molto vicina al significato inglese del termine rumor. In questa accezione di disturbo, la troviamo duplicata, con significato simile, anche in tante discipline diverse tra loro: dalla fisica, alla linguistica, alla medicina.
Sinonimo di frastuono, trambusto, fragore, è il contrario di silenzio, tranquillità, pace.
Il rumore in quanto disturbo, come un problema urbano, ha interessato fin dai tempi antichi. Ci meraviglierà, ma Giulio Cesare promulgò per questo la sua Lex Julia Municipalis, che obbligava il passaggio dei carri alla sera e alla notte per tenere lontano il rumore provocato dalle ruote tra le vie di Roma durante il giorno, fino al pomeriggio inoltrato. Si lamentano del chiasso cittadino anche Quinto Orazio Flacco e Seneca, al quale dava fastidio il vociare delle terme, vicine alla sua abitazione, l’abbaiare dei cani e che si sentiva infastidito dalle urla degli schiavi frustati e dall’inflessione particolare della voce dei venditori di bibite e cibo di strada. Giovenale volge la sua satira al disturbo alla quiete di Roma a causa del chiasso dei carri, del rumore delle mandrie, della confusione dei mercati (Satira terza) e accenna al danno alla salute che può arrecare l’eccesso di rumore di cui si comincerà a parlare seriamente solo nel XVII secolo con il De Morbis Artificium Diatriba di Bernardino Ramazzini.
Il silenzio è ispiratore di riflessione e di poesia. Questo numero della nostra rivista che vi apprestate a leggere è pieno di poesia. Potete leggere la storia del giovane Francesco (niente di meno che il Petrarca) e del suo incontro con Laura, probabilmente donna reale o forse inventata perché il grande poeta, figura tormentata tra medioevo e umanesimo, come suggerisce l’autrice, possa scrivere d’amore donandoci i versi tra i più vivi e belli della storia della poesia. Un altro articolo vi informa dell’avvio dei festeggiamenti in onore di Dante Alighieri, di cui abbiamo parlato anche qui con le letture del Dantedì regalateci, per citare solo alcuni nomi, da Piera Degli Esposti, che ha magnificamente recitato il V canto dell’Inferno,Valerio Magrelli (che legge i versi di chiusura della Commedia), o da Ennio Morricone, che ha scelto per sé i versi, famosissimi, dedicati al conte Ugolino. Ma l’autrice va oltre e ci dona una piccola chicca, tutta da gustare, ricca di curiosità intorno all’opera stessa del Sommo. Poesia e tenerezza ci vengono dalla descrizione dell’esperienza poetica di una dolce signora, Cora Corallina, che ha pubblicato il suo primo libro a settantacinque anni e ha scritto versi che incantano per semplicità e purezza. Nella poesia sicuramente rientra il coraggio di
Marie Paradis (per Le Mille) che è stata la prima donna scalatrice. La immaginiamo, coraggiosa sulla vetta del Monte Bianco, che conquistò il 14 luglio 1808.
Donne interessanti e coraggiose quelle che incontriamo nell’articolo sulle Pittrici futuriste. Una di loro scrisse anche un manifesto per contrastare quello di Marinetti. Coraggio e intelligenza le riconosciamo in Fatema Mernissi, sociologa e scrittrice marocchina, protagonista dell’odierna intervista impossibile di Incontri. Queste donne ci insegnano che si può fare, che ognuna di noi può uscire dall’ombra, come ci suggeriva, nel 1906, Virginia Woolf, protagonista di un articolo in cui l’autrice espone l’idea di stimolare in ogni donna una scrittura giornaliera, diaristica. Femminile è la divinità importata dall’oriente, Cerere, che diventa a Roma la Magna mater e che era festeggiata in questo periodo dell’anno; e forse furono le preghiere a lei dedicate a portare finalmente la vittoria dei romani su Annibale, finendo in positivo le terribili guerre puniche.
La storia delle Aleksandrinke ci commuove e mi commuove per gli incontri che personalmente ho avuto durante la scrittura di Siamo qui. Storie e successi di donne migranti. Le ragazze che, in un tempo per noi ormai lontano, lasciavano Gorizia e le terre limitrofe e, attraversando il mare, arrivavano ad Alessandria d’Egitto per lavorare nelle  case delle famiglie benestanti di lì, somigliano moltissimo alle tante ragazze e donne di oggi che sono costrette a lasciare le loro case, soprattutto dall’est europeo, per fare in modo che i figli studino e la loro famiglia viva un’esistenza migliore, grazie al loro lavoro, proprio come le loro consorelle friulane e slovene di un tempo.
Un articolo sull’economia di questo triste periodo, invece, ci spiega con minuziosità, ma anche tanta chiarezza, gli errori commessi dall’Unione Europea e i rischi a cui andremo incontro se i governi dei singoli Stati non adotteranno, tutti insieme, azioni responsabili per l’Europa unita, mettendone altrimenti a rischio l’esistenza stessa.
In un momento di crisi, lo abbiamo già scritto, l’attenzione alla spesa e alla preparazione dei pasti è importantissima. Perciò anche la ricetta che diamo in questo numero della rivista si adegua ai tempi. Oggi suggeriamo un purè di patate e fagiolini, con il profumo dei funghi e, se non piacciono, con delle verdure: spinaci, cicoria o delle erbette, come suggerisce l’autrice, in modo da mantenerci leggere e leggeri in questo periodo di inamovibilità praticamente assoluta.
Ma approfittiamone allora e sdraiamoci sul divano per ascoltare, dopo aver letto l’articolo a lui dedicato, un pezzo del grande Cecil Taylor, mostro sacro della musica jazz. Così, con la sua musica “nera” ci salutiamo e ci abbracciamo in questa possibilità virtuale.
Buona lettura a tutte e a tutti

 

 

Editoriale di Giusi Sammartino

aFQ14hduLaureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

2 commenti

    1. certo adriana, grazie mille! vai su Vitaminevaganti.com troverai tutto e semmai riscrivimi e ti aiuto. Grazie ancora per l’interesse

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